Diffamazione a mezzo stampa: parliamone
Moderatore: Moderatore
Diffamazione a mezzo stampa: parliamone
Diffamazione a mezzo stampa: parliamone!
Sono andato a colloquio col mio avvocato, caro amico di lunghissima data.
La faccio breve per vostra comodita, con un paio di esempi facili facili.
Supponiamo le identità di Jack e John
1) Jack scrive di John "L'amico mio John é un imbecille."
John può sporgere denuncia querela, e chiedere i danni a Jack.
2) Jack scrive di John " John é un imbecille."
John scrive di Jack "Jack é una testa di *beep*"
Il reato commesso da Jack "si elide" con quelo commesso da John. Ognuno si tiene i suoi improperi, pari e patta.
Se la cosa vi interessa, tutti coloro i quali si sentano offesi e NON ABBIANO a loro volta reagito con offese, possono perseguire civilmente ed ottenere soddisfazione di fronte alla legge.
I danni morali possono assommare anche a grandi cifre, e la reiterazione del reato lo aggrava di molto, ovviamente.
Pensateci, da ora in poi. :faroah:
Sono andato a colloquio col mio avvocato, caro amico di lunghissima data.
La faccio breve per vostra comodita, con un paio di esempi facili facili.
Supponiamo le identità di Jack e John
1) Jack scrive di John "L'amico mio John é un imbecille."
John può sporgere denuncia querela, e chiedere i danni a Jack.
2) Jack scrive di John " John é un imbecille."
John scrive di Jack "Jack é una testa di *beep*"
Il reato commesso da Jack "si elide" con quelo commesso da John. Ognuno si tiene i suoi improperi, pari e patta.
Se la cosa vi interessa, tutti coloro i quali si sentano offesi e NON ABBIANO a loro volta reagito con offese, possono perseguire civilmente ed ottenere soddisfazione di fronte alla legge.
I danni morali possono assommare anche a grandi cifre, e la reiterazione del reato lo aggrava di molto, ovviamente.
Pensateci, da ora in poi. :faroah:
Ultima modifica di apsa il 19/04/2007, 8:00, modificato 1 volta in totale.
A scuola andavo sempre benissimo.
Era al ritorno che spesso mi perdevo.
Andrea
Era al ritorno che spesso mi perdevo.
Andrea
Naturalmente, il reato compiuto a mezzo INTERNET é altrettanto se non più grave ancora, data la probabile molto maggior diffusione dello strumento telematico.
E con questo vi saluto, ploppo - almeno per ora, vado a magnà :flower:
E con questo vi saluto, ploppo - almeno per ora, vado a magnà :flower:
A scuola andavo sempre benissimo.
Era al ritorno che spesso mi perdevo.
Andrea
Era al ritorno che spesso mi perdevo.
Andrea
Dunque, ma rientra nel caso di "diffamazione a mezzo stampa" anche se se loscrivono privatamente, o solo se se lo scrivono pubblicamente?
Scriverselo a 1/2 internet penso possa equivalere a pubblicarlo su un giornale, visto la possibilità di accesso globale...
comunque, per evitare ogni noia, ora mi esprimerò solo per perifrasi o circonlocuzioni...
...non appena avrò trovato il dizionario ed avrò scoperto cosa volgiono dire!
Scriverselo a 1/2 internet penso possa equivalere a pubblicarlo su un giornale, visto la possibilità di accesso globale...
comunque, per evitare ogni noia, ora mi esprimerò solo per perifrasi o circonlocuzioni...
...non appena avrò trovato il dizionario ed avrò scoperto cosa volgiono dire!
Mario, mi dispiace darti una delusione, ma non è roba che si mangia!marione ha scritto:grazie per le info Apsa ..ma è più soddisfacente rispondere direttamente ......
comunque anche io da oggi mi esprimerò solo per perifrasi o circonlocuzioni...
Paolo appena puoi fammi sapere anche a me che cosa vuol dire :blackeye:
Re: Diffamazione a mezzo stampa: parliamone
Andrea, ho fatto i conti con il pallottoliere, ma mi sembra che in queste condizioni ci possa essere al massimo una o due persone... :flower: :flower: ...apsa ha scritto: Se la cosa vi interessa, tutti coloro i quali si sentano offesi e NON ABBIANO a loro volta reagito con offese, possono perseguire civilmente ed ottenere soddisfazione di fronte alla legge.
Io invece smetto di lavorare e mi metto a controllare 24h su 24 un certo forum......credo che non mi ci vorrà troppo tempo per far sborsare un pò di soldi a qualcuno visto che non ci sono riuscita in precedenza, come scritto su altro forum.... :cyclopsani:
Cmq. a parte gli scherzi io lo fare i questo punto solo per principio....anche solo un'euro mi darebbe una grossissima soddisfazione!! :flower:
Cmq. a parte gli scherzi io lo fare i questo punto solo per principio....anche solo un'euro mi darebbe una grossissima soddisfazione!! :flower:
"Che cosa sarebbe l'umanità, signore, senza la donna?" "Sarebbe scarsa, signore, terribilmente scarsa". (Mark Twain)
un pò lunghetto ma vale la pena leggerlo...
COPIO-INCOLLO
LA DIFFAMAZIONE A MEZZO STAMPA: CONSIDERAZIONI , STRUMENTI DI TUTELA E PROBLEMATICHE CORRENTI.
La libertà di manifestare il proprio pensiero è il fondamento di ogni sistema democratico basato sul pluralismo ideologico: garantire ad ognuno di esprimere le proprie opinioni, di diffonderle e di farne propaganda è l’unico modo per dar vita a un confronto dialettico tra rappresentanti di posizioni diverse e rendere concreta la dimensione democratica di un paese. La libertà di manifestazione del pensiero sancita dall’art.21, non va intesa solo come riconoscimento di esprimere liberamente le proprie opinioni, ma anche come il diritto al silenzio ( ossia diritto di non esternare ciò che si pensa), come diritto di utilizzare ogni mezzo tecnico per diffondere il proprio pensiero e come libertà di informare ( cioè di diffondere liberamente notizie) e di essere informati. Pur presentando una notevole ampiezza, tale libertà incontra però dei limiti fissati non solo nell’art.21 cost., che impone il rispetto del buon costume, ma anche in altre norme costituzionali, volte a tutelare determinati diritti che possono venire in conflitto con il concreto esercizio della libertà di manifestazione del pensiero. Si pensi infatti alla riservatezza e l’onorabilità della persona: desumibili dagli art.2 e 3 della costituzione, per i quali il diritto di ciascuno di manifestare il proprio pensiero non deve essere esercitato in modo tale da ledere la dignità, l’onore, la privacy altrui, oppure al segreto giudiziario per il quale è vietata la pubblicazione di atti destinati a rimanere segreti per garantire l’efficace andamento della giustizia e proteggere la reputazione degli imputati prima della condanna definitiva, e in definitiva al dovere di difendere la patria apponendo il segreto militare a notizie riguardanti la difesa nazionale, cosi come il segreto di Stato necessario per la salvaguardia della Repubblica, sono molti dei problemi che i principi sanciti dall’art 21 si trovano a fronteggiare e a porre rimedio continuamente e indirettamente con l’ausilio di altre norme costituzionali. Essendo un argomento molto vasto, mi soffermerò su una sola di queste problematiche, quella per cui, data la sua rilevante importanza è sempre all’ordine del giorno, celata dietro un qualsiasi articolo di giornale, ossia: “la diffamazione a mezzo stampa”. La diffamazione in generale viene disciplinata dell’art. 595 del codice penale , a norma del quale commette il reato di diffamazione chiunque, comunicando con più persone, offende la reputazione altrui; reputazione che viene qui intesa come la stima , l’opinione e la considerazione di cui ciascuno gode nel contesto sociale e dei rapporti personali o professionali. Le notizie diffamatorie possono essere diffuse sia con il mezzo dello scritto (articolo di giornale o altro tipo di pubblicazione), sia attraverso la pubblicazione di fotografie, e, in tale ultimo caso, alla tutela della reputazione si aggiunge quella relativa all’immagine della persona interessata. L’aspetto più importante da sottolineare in materia di diffamazione è che salvo casi estremamente particolari, il colpevole del reato non è ammesso a provare, a sua discolpa, la verità o la notorietà del fatto attribuito alla persona offesa. Ciò significa che, non vale ad escludere il reato in questione la circostanza che il fatto offensivo sia vero o già noto per altra via. Per inquadrare correttamente la situazione normativa bisogna dire che la divulgazione di fatti e notizie diffamatori non è punibile nel caso in cui chi commette il fatto esercita un proprio diritto o agisce con il consenso della persona interessata, la pubblicazione di fatti e notizie di ogni tipo sarà pertanto riconducibile all’esercizio del diritto di cronaca quale specie della libertà di manifestazione del pensiero e del diritto/dovere di informare dei giornalisti. A tale proposito l’art.51 del codice penale stabilisce che: “ l’esercizio di un diritto……, esclude la punibilità”. La logica della norma è evidente e riposa su un principio di non contraddizione: (se l’ordinamento riconosce un certo diritto ai cittadini, non può poi punirli perché tale diritto è stato correttamente esercitato).Il diritto in questione è, appunto, quello di manifestazione del pensiero, inteso anche come diritto di cronaca giornalistica, di critica e di satira. Se questo è vero, altrettanto innegabile è che l’esercizio della libertà d’espressione esclude la punibilità dell’offesa alla reputazione solo quando questo diritto è correttamente esercitato, cioè non travalica i limiti imposti dal rispetto dei diritti altrui, altrimenti si ricadrebbe in un abuso del diritto che rende comunque punibile l’autore del fatto. Ancora in materia d’esercizio del diritto di cronaca occorre richiamare anche l’art. 59 del codice penale, secondo il quale chi commette il fatto ritiene per errore che esistono circostanze di esclusione della pena (quale è l’esercizio del diritto di cronaca), queste sono sempre valutate a favore di lui. Si tratta della situazione che in termini giuridici va sotto il nome di “esercizio putativo del diritto di cronaca”, in altre parole, chi commette il fatto diffamatorio non è punibile anche se credeva per errore di esercitare un diritto. Per chiarire, si pensi al caso in cui il cronista ritiene vero un fatto per avere effettivamente compiuto serie verifiche in merito, ma pur avendo diligentemente adempiuto al dovere di controllo della fonte della notizia, abbia una percezione erronea della realtà e racconti fatti effettivamente non corrispondenti al vero. In questo caso il giornalista crede di esercitare in buona fede il suo compito nei giusti limiti, rispettando a sua volta il proprio diritto di cronaca, e pertanto risulterà non punibile. La seconda causa di non punibilità riguarda il consenso del soggetto, titolare del diritto alla reputazione, sulla base dell’art.50 del codice penale, a norma del quale non è punibile chi lede o pone in pericolo un diritto, con il consenso della persona che può validamente disporne. Questo significa che se la divulgazione di fatti o foto lesive della reputazione avviene con il benestare della persona interessata, l’autore dell’illecito non è punibile. Tale norma è stata più volte, per l’appunto, invocata dai fotografi, che dopo aver palesemente ritratto un personaggio noto, e venduto per la pubblicazione le fotografie offensive si sono difesi eccependo la circostanza che, essendo nota la qualità di fotografo (e quindi il futuro uso della foto e la sua destinazione) ed avendo la persona implicitamente acconsentito, il reato così ammesso non era punibile. In realtà la giurisprudenza ha chiarito che la causa di non punibilità rappresentata dal consenso del titolare del diritto presuppone che quest’ultimo abbia prestato un consenso valido e definitivo quanto all’oggetto della condotta illecita, alle sue modalità estrinsecazione e alla collocazione storico/temporale della lesione del diritto. Quindi, secondo l’orientamento sopra citato, il consenso alla divulgazione dei fatti offensivi, per escludere la punibilità dell'agente, deve essere specifico e relativo ad un ambito d’utilizzazione ben definito. La stessa efficacia è data dal consenso putativo che ricorre nel caso in cui, in base alle circostanze, sussista una ragionevole persuasione per l’agente, di operare con il consenso della persona che può validamente disporre del diritto. Certo è che il diritto di cronaca deve essere esercitato correttamente, e cioè senza travalicare i limiti imposti dall’ordinamento e che sono peraltro reperibili nella famosa sentenza N° 5259 del 18 ottobre 1984 della prima sezione civile della Corte di Cassazione meglio nota come sentenza decalogo. Attraverso questa sentenza vengono codificati in una sorta di decalogo i criteri che i giornalisti devono rispettare per non incorrere nei rigori della legge, e che consentono, alla persona che si ritiene diffamata di rivolgersi direttamente al giudice civile, senza necessariamente prima presentare una querela alla procura della repubblica.
Questi limiti sono:
a) Che la notizia sia vera. (Il giornalista deve preoccuparsi personalmente dell’attendibilità della fonte e non può limitarsi alla realizzazione di un articolo semplicemente attingendo da altre fonti informative.)
B) Che esista un interesse pubblico alla conoscenza dei fatti riferiti in relazione alla loro attualità ed utilità sociale secondo il principio della pertinenza.
C) Che l’informazione venga mantenuta nei giusti limiti della più serena obbiettività.
D) Che l’esposizione sia corretta in modo da garantire una più idonea e completa interpretazione secondo il principio della continenza.
E’ interessante osservare come al seguito di questa breve esposizione la cosa che emerga con più facilità sia il principio fondamentale messo a punto dalla corte di cassazione, per il quale il diritto di cronaca non esime di per se dal rispetto dell’altrui reputazione e riservatezza, ma giustifica intromissioni ( anche lesive ) nella sfera privata dei cittadini solo quando esse possano contribuire alla formazione di una pubblica opinione su fatti oggettivamente rilevanti per la collettività. Detto questo, è intuitivo che le offese alla reputazione personale o artistica attuate mediante la diffusione di notizie o foto diffamatorie possono comportare rilevanti danni tanto alla vita di relazione e a rapporti personali, quanto a quella professionale per quanto riguarda la perdita di occasioni di lavoro. Per fare un esempio, si pensi al caso d’estrema attualità di un’attrice la cui immagine sia indebitamente inserita in un sito Internet a carattere pornografico, provocandone il discredito nel suo ambiente professionale.
Come potrebbe reagire quest’ultima?
Di quali strumenti di difesa potrebbe avvalersi?
Gli interrogativi che ci si potrebbe porre sono innumerevoli, ma l’ordinamento a previsto degli specifici strumenti di protezione della reputazione, ossia: “il diritto di rettifica, la denuncia penale, la tutela cautelare civile e il risarcimento dei danni patrimoniali e morali. Quando la notizia diffusa con il mezzo della stampa risulta essere non rispondente al vero o lesiva della dignità altrui, la persona interessata può esercitare il diritto di rettifica riconosciutogli in particolare modo dall’art.8 L. n°47/1948, per il quale il direttore o comunque il responsabile di una testata è tenuto a fare inserire gratuitamente nel quotidiano o nel periodico o nell’agenzia di stampa le dichiarazioni o le rettifiche dei soggetti di cui siano state pubblicate immagini, od ai quali siano stati attribuiti atti o pensieri o affermazioni da essi ritenuti lesivi della loro dignità o contrari a verità, purché le dichiarazioni o le rettifiche non abbiano contenuto suscettibile di incriminazione penale. Per i quotidiani, le dichiarazioni o le rettifiche di cui sono pubblicate non oltre due giorni da quello in cui è avvenuta la richiesta, in testa di pagina e collocate nella stessa pagina del giornale che ha riportato la nozione cui si riferiscono. Per i periodici, le dichiarazioni o le rettifiche sono pubblicate non oltre il secondo numero successivo alla settimana in cui è pervenuta la richiesta, nella stessa pagina che ha riportato la notizia cui si riferisce. Le rettifiche o dichiarazioni devono inoltre fare riferimento allo scritto che le ha determinate e devono essere pubblicate nella loro interezza, purché contenute entro il limite di trenta righe, con le medesime caratteristiche tipografiche per la parte che si riferisce direttamente alle affermazioni contestate. La rettifica è certo uno strumento molto efficace ma non sempre soddisfacente, mentre la denuncia penale, la tutela cautelare e il risarcimento patrimoniale dei danni morali, che hanno però ben altre tipologie procedurali sono di gran lunga più dirette ed agiscono in maniera immediata a scampo di equivoci. Per quanto riguarda la denuncia penale, la persona offesa da atti diffamatori può inoltrare alle autorità competenti una denuncia/querela, al fine di dare impulso a un processo penale a carico del colpevole. Nel corso del processo penale la persona offesa può anche costituirsi parte civile ai fini del risarcimento dei danni morali o patrimoniali subiti. Avendo con questo designato anche la tipologia di tutela dell’individuo tramite risarcimento, non rimane altro che definire la tutela cautelare civile. Quest’ultima, appartiene ai rimedi preventivi che intervengono prima che la lesione al diritto alla reputazione si sia verificata. Questa si identifica con l’azione inibitoria che serve ad ottenere una pronuncia giudiziale che ordini ad un soggetto di astenersi da un comportamento illecito e quindi interromperlo. E’ oltremodo interessante osservare come quest’ultimo sistema di tutela, a differenza degli altri, venga utilizzato solo quando incorrano determinate situazioni (questo perché la stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni e censure), che si rendono necessarie per il corretto rispetto/esercizio del principio costituzionale sopra citato.
Alla luce di quanto sviluppato, si hanno ora gli elementi sufficienti e convincenti per sostenere che la problematica dei rapporti tra informazione, intimità ed onore non deve essere affrontata nel contesto dei limiti al diritto di informazione e di libera manifestazione del pensiero, ma deve essere bensì oggetto di un attento bilanciamento tra diritti e valori costituzionali. L’esigenza di un bilanciamento si pone con frequenza nei moderni sistemi costituzionali dal momento che assai difficile che la tutela di una posizione soggettiva si realizzi utilizzando una sola disposizione costituzionale, ovvero facendo riferimento ad un unico diritto. Nasce quindi l’esigenza di utilizzare più criteri circostanziali e obbiettivi per la soluzione di determinate situazioni che si vengono a creare, ed è per questo che il compito del giudice viene svolto parallelamente all’osservanza e il rispetto di determinati criteri o parametri. L’analisi di questo difficile bilanciamento è di certo molto più comprensibile alla luce di qualche caso concreto, qui brevemente riportati.
CASI:
1) Nel 1991 il deputato Sergio Flamigni, nel suo libro “La tela del ragno - Il delitto Moro”, prospettò (ai tempi della strage di Via Fani), l’ipotesi di un collegamento tra il Ministero dell’Interno, all’epoca guidato da Francesco Cossiga, e la loggia P2. In seguito a ciò Francesco Cossiga, durante una conferenza stampa tenuta come Presidente della Repubblica attaccò Flamigni dicendo che quanto aveva detto non era per cattiva volontà ma per poca intelligenza. Queste frasi ampliamente riportate dalla stampa fecero si che Flamigni potesse chiedere al Tribunale Civile di Roma di condannare Cossiga al risarcimento dei danni per le offese rivoltegli. Cossiga si difese a sua volta invocando l’art.90 Cost. per il quale il Presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla costituzione. Il Tribunale di primo grado respinse la tesi di Cossiga, e lo condannò al risarcimento del danno per un equivalente di 40 milioni di vecchie lire, perché l’attacco personale di natura diffamatoria non poteva essere considerato come un atto rientrante nelle funzioni del Presidente. Cossiga ricorse quindi in appello dove però ottenne l’esatto contrario di quanto si era prodotto in primo grado. Il Tribunale d’Appello ritenne improponibile la domanda di Flamigni, affermando che al Presidente della Repubblica deve essere riconosciuto il potere di esternare valutazioni soprattutto quando queste servano a tutelare la Presidenza della Repubblica. Flamigni ricorse allora a sua volta in Cassazione che accolse entrambi i ricorsi , li esaminò e li rinviò ad un sezione della Corte d’Appello.
In definitiva il processo si concluse con l’obbligo , di Cossiga di risarcire il danno causato.
2) Il 10 gennaio del 1995 “IL Giornale” pubblicò un articolo intitolato “Cellino: cedesi società per pagare bollette Enel”, ritenuto lesivo della reputazione di Massimo Cellino, presidente del “Cagliari Calcio”, perché, riportando notizie non vere, apprese da fonte confidenziale e non sottoposte a verifica alcuna, affermava che il Cellino si trovava in difficoltà economiche tanto gravi da non riuscire tra l’altro, a far fronte neppure al pagamento delle bollette della luce relative allo stadio S.Elia. Gli autori dell’articolo vennero giudicati in primo grado e ritenuti colpevoli per diffamazione a mezzo stampa e omesso controllo in quanto non essendosi preoccupati della fonte di provenienza dell’articolo non esitarono a pubblicarlo senza quindi gli opportuni controlli del caso.
Il responsabile del giornale e l’autore dell’articolo ricorsero in Appello, ma la sentenza de Tribunale di Milano (24 gennaio 2002) fu la stessa, quindi non contenti provarono in Cassazione chiedendo l’annullamento, con o senza rinvio, della sentenza in secondo grado. La Corte, esaminato il caso rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del procedimento ed inoltre di quelle sostenute dalla parte civile, liquidata in 1.300,00 euro, di cui 1.000 euro per onorari.
CONSIDERAZIONI:
Questi casi seppur brevi, danno un’ampia panoramica di come materialmente questi processi si svolgano/procedano, ma la cosa di certo più interessante è osservare come le corti assumano comportamenti diversi (tuttavia deducibili) a seconda delle situazioni, e che ricorrano o meno determinati criteri. Nel 2° caso è deducibile il perché le corti abbiano emesso un tipo di sentenza piuttosto che un’altra, a rigor di logica, ma forse, con un rigore molto più giurisprudenziale che logico, è evidente che queste si pronunciarono seguendo i principi della sentenza decalogo e dell’art 57 del c.p. . Nel 1° caso, le difficoltà di deduzione sembrano invece accentuarsi. Non è più cosi facile cercare di capire le intenzioni della corte, quantomeno quella d’Appello, che sembra voler quasi difendere il Presidente della Repubblica affermando una sorta di forma di tutela della presidenza. Credo che questo accada perché il bilanciamento che a volte si concretizza e sembra prendere forma e a volte si scompone per lasciar spazio ad una più vasta idea, ossia quella morale. Certo è , che essendo questo un argomento molto delicato, trattandosi dell’offesa recata alla dignità umana, ed essendo quest’ultima un qualche cosa della quale non poter provare realmente il danno, diventa difficile, la dove non esistano parametri sufficienti, inventarsene qualcuno o lasciare impunito un simile reato pur pensando che sia stato rivolto alla dignità, senso che ci accomuna.
Per concludere, è proprio qui che si trova la difficoltà, nel senso morale proprio che ciascun giudice mette nell’esaminare ogni singolo caso, anche se poi alla fine si corre il rischio di non garantire un corretto bilanciamento dei principi giurisprudenziali conosciuti per la soluzione dei reati commessi per diffamazione a mezzo stampa e non solo. D’altro canto se si fosse troppo rigidi si correrebbe il rischio di trasformare un reato , quale quello preso in questione, forse troppo più grande di quanto in realtà sia. Cosi facendo almeno si evita che persone fin troppo esposte, quali i giornalisti , abbiano il continuo timore di dover scrivere i loro articoli da una cella piuttosto che dal loro studio.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI E SITI INTERNET
Diritto pubblico dell’informazione: stampa, radiotelevisione, teatro e cinema
(Paolo Caretti)
Diritto dell’informazione
(Giuseppe Corsaniti)
3° ed.
Diritto dell’informazione e della comunicazione
(Roberto Zaccaria)
CEDAM
WWW.FOROEUROPEO.IT
(Sentenze Cassazione)
www.legge-e-giustizia.it
( Casi )
www.Terrelibere.it
(Casi)
www.giust.it
(riferimenti)
LA DIFFAMAZIONE A MEZZO STAMPA: CONSIDERAZIONI , STRUMENTI DI TUTELA E PROBLEMATICHE CORRENTI.
La libertà di manifestare il proprio pensiero è il fondamento di ogni sistema democratico basato sul pluralismo ideologico: garantire ad ognuno di esprimere le proprie opinioni, di diffonderle e di farne propaganda è l’unico modo per dar vita a un confronto dialettico tra rappresentanti di posizioni diverse e rendere concreta la dimensione democratica di un paese. La libertà di manifestazione del pensiero sancita dall’art.21, non va intesa solo come riconoscimento di esprimere liberamente le proprie opinioni, ma anche come il diritto al silenzio ( ossia diritto di non esternare ciò che si pensa), come diritto di utilizzare ogni mezzo tecnico per diffondere il proprio pensiero e come libertà di informare ( cioè di diffondere liberamente notizie) e di essere informati. Pur presentando una notevole ampiezza, tale libertà incontra però dei limiti fissati non solo nell’art.21 cost., che impone il rispetto del buon costume, ma anche in altre norme costituzionali, volte a tutelare determinati diritti che possono venire in conflitto con il concreto esercizio della libertà di manifestazione del pensiero. Si pensi infatti alla riservatezza e l’onorabilità della persona: desumibili dagli art.2 e 3 della costituzione, per i quali il diritto di ciascuno di manifestare il proprio pensiero non deve essere esercitato in modo tale da ledere la dignità, l’onore, la privacy altrui, oppure al segreto giudiziario per il quale è vietata la pubblicazione di atti destinati a rimanere segreti per garantire l’efficace andamento della giustizia e proteggere la reputazione degli imputati prima della condanna definitiva, e in definitiva al dovere di difendere la patria apponendo il segreto militare a notizie riguardanti la difesa nazionale, cosi come il segreto di Stato necessario per la salvaguardia della Repubblica, sono molti dei problemi che i principi sanciti dall’art 21 si trovano a fronteggiare e a porre rimedio continuamente e indirettamente con l’ausilio di altre norme costituzionali. Essendo un argomento molto vasto, mi soffermerò su una sola di queste problematiche, quella per cui, data la sua rilevante importanza è sempre all’ordine del giorno, celata dietro un qualsiasi articolo di giornale, ossia: “la diffamazione a mezzo stampa”. La diffamazione in generale viene disciplinata dell’art. 595 del codice penale , a norma del quale commette il reato di diffamazione chiunque, comunicando con più persone, offende la reputazione altrui; reputazione che viene qui intesa come la stima , l’opinione e la considerazione di cui ciascuno gode nel contesto sociale e dei rapporti personali o professionali. Le notizie diffamatorie possono essere diffuse sia con il mezzo dello scritto (articolo di giornale o altro tipo di pubblicazione), sia attraverso la pubblicazione di fotografie, e, in tale ultimo caso, alla tutela della reputazione si aggiunge quella relativa all’immagine della persona interessata. L’aspetto più importante da sottolineare in materia di diffamazione è che salvo casi estremamente particolari, il colpevole del reato non è ammesso a provare, a sua discolpa, la verità o la notorietà del fatto attribuito alla persona offesa. Ciò significa che, non vale ad escludere il reato in questione la circostanza che il fatto offensivo sia vero o già noto per altra via. Per inquadrare correttamente la situazione normativa bisogna dire che la divulgazione di fatti e notizie diffamatori non è punibile nel caso in cui chi commette il fatto esercita un proprio diritto o agisce con il consenso della persona interessata, la pubblicazione di fatti e notizie di ogni tipo sarà pertanto riconducibile all’esercizio del diritto di cronaca quale specie della libertà di manifestazione del pensiero e del diritto/dovere di informare dei giornalisti. A tale proposito l’art.51 del codice penale stabilisce che: “ l’esercizio di un diritto……, esclude la punibilità”. La logica della norma è evidente e riposa su un principio di non contraddizione: (se l’ordinamento riconosce un certo diritto ai cittadini, non può poi punirli perché tale diritto è stato correttamente esercitato).Il diritto in questione è, appunto, quello di manifestazione del pensiero, inteso anche come diritto di cronaca giornalistica, di critica e di satira. Se questo è vero, altrettanto innegabile è che l’esercizio della libertà d’espressione esclude la punibilità dell’offesa alla reputazione solo quando questo diritto è correttamente esercitato, cioè non travalica i limiti imposti dal rispetto dei diritti altrui, altrimenti si ricadrebbe in un abuso del diritto che rende comunque punibile l’autore del fatto. Ancora in materia d’esercizio del diritto di cronaca occorre richiamare anche l’art. 59 del codice penale, secondo il quale chi commette il fatto ritiene per errore che esistono circostanze di esclusione della pena (quale è l’esercizio del diritto di cronaca), queste sono sempre valutate a favore di lui. Si tratta della situazione che in termini giuridici va sotto il nome di “esercizio putativo del diritto di cronaca”, in altre parole, chi commette il fatto diffamatorio non è punibile anche se credeva per errore di esercitare un diritto. Per chiarire, si pensi al caso in cui il cronista ritiene vero un fatto per avere effettivamente compiuto serie verifiche in merito, ma pur avendo diligentemente adempiuto al dovere di controllo della fonte della notizia, abbia una percezione erronea della realtà e racconti fatti effettivamente non corrispondenti al vero. In questo caso il giornalista crede di esercitare in buona fede il suo compito nei giusti limiti, rispettando a sua volta il proprio diritto di cronaca, e pertanto risulterà non punibile. La seconda causa di non punibilità riguarda il consenso del soggetto, titolare del diritto alla reputazione, sulla base dell’art.50 del codice penale, a norma del quale non è punibile chi lede o pone in pericolo un diritto, con il consenso della persona che può validamente disporne. Questo significa che se la divulgazione di fatti o foto lesive della reputazione avviene con il benestare della persona interessata, l’autore dell’illecito non è punibile. Tale norma è stata più volte, per l’appunto, invocata dai fotografi, che dopo aver palesemente ritratto un personaggio noto, e venduto per la pubblicazione le fotografie offensive si sono difesi eccependo la circostanza che, essendo nota la qualità di fotografo (e quindi il futuro uso della foto e la sua destinazione) ed avendo la persona implicitamente acconsentito, il reato così ammesso non era punibile. In realtà la giurisprudenza ha chiarito che la causa di non punibilità rappresentata dal consenso del titolare del diritto presuppone che quest’ultimo abbia prestato un consenso valido e definitivo quanto all’oggetto della condotta illecita, alle sue modalità estrinsecazione e alla collocazione storico/temporale della lesione del diritto. Quindi, secondo l’orientamento sopra citato, il consenso alla divulgazione dei fatti offensivi, per escludere la punibilità dell'agente, deve essere specifico e relativo ad un ambito d’utilizzazione ben definito. La stessa efficacia è data dal consenso putativo che ricorre nel caso in cui, in base alle circostanze, sussista una ragionevole persuasione per l’agente, di operare con il consenso della persona che può validamente disporre del diritto. Certo è che il diritto di cronaca deve essere esercitato correttamente, e cioè senza travalicare i limiti imposti dall’ordinamento e che sono peraltro reperibili nella famosa sentenza N° 5259 del 18 ottobre 1984 della prima sezione civile della Corte di Cassazione meglio nota come sentenza decalogo. Attraverso questa sentenza vengono codificati in una sorta di decalogo i criteri che i giornalisti devono rispettare per non incorrere nei rigori della legge, e che consentono, alla persona che si ritiene diffamata di rivolgersi direttamente al giudice civile, senza necessariamente prima presentare una querela alla procura della repubblica.
Questi limiti sono:
a) Che la notizia sia vera. (Il giornalista deve preoccuparsi personalmente dell’attendibilità della fonte e non può limitarsi alla realizzazione di un articolo semplicemente attingendo da altre fonti informative.)
B) Che esista un interesse pubblico alla conoscenza dei fatti riferiti in relazione alla loro attualità ed utilità sociale secondo il principio della pertinenza.
C) Che l’informazione venga mantenuta nei giusti limiti della più serena obbiettività.
D) Che l’esposizione sia corretta in modo da garantire una più idonea e completa interpretazione secondo il principio della continenza.
E’ interessante osservare come al seguito di questa breve esposizione la cosa che emerga con più facilità sia il principio fondamentale messo a punto dalla corte di cassazione, per il quale il diritto di cronaca non esime di per se dal rispetto dell’altrui reputazione e riservatezza, ma giustifica intromissioni ( anche lesive ) nella sfera privata dei cittadini solo quando esse possano contribuire alla formazione di una pubblica opinione su fatti oggettivamente rilevanti per la collettività. Detto questo, è intuitivo che le offese alla reputazione personale o artistica attuate mediante la diffusione di notizie o foto diffamatorie possono comportare rilevanti danni tanto alla vita di relazione e a rapporti personali, quanto a quella professionale per quanto riguarda la perdita di occasioni di lavoro. Per fare un esempio, si pensi al caso d’estrema attualità di un’attrice la cui immagine sia indebitamente inserita in un sito Internet a carattere pornografico, provocandone il discredito nel suo ambiente professionale.
Come potrebbe reagire quest’ultima?
Di quali strumenti di difesa potrebbe avvalersi?
Gli interrogativi che ci si potrebbe porre sono innumerevoli, ma l’ordinamento a previsto degli specifici strumenti di protezione della reputazione, ossia: “il diritto di rettifica, la denuncia penale, la tutela cautelare civile e il risarcimento dei danni patrimoniali e morali. Quando la notizia diffusa con il mezzo della stampa risulta essere non rispondente al vero o lesiva della dignità altrui, la persona interessata può esercitare il diritto di rettifica riconosciutogli in particolare modo dall’art.8 L. n°47/1948, per il quale il direttore o comunque il responsabile di una testata è tenuto a fare inserire gratuitamente nel quotidiano o nel periodico o nell’agenzia di stampa le dichiarazioni o le rettifiche dei soggetti di cui siano state pubblicate immagini, od ai quali siano stati attribuiti atti o pensieri o affermazioni da essi ritenuti lesivi della loro dignità o contrari a verità, purché le dichiarazioni o le rettifiche non abbiano contenuto suscettibile di incriminazione penale. Per i quotidiani, le dichiarazioni o le rettifiche di cui sono pubblicate non oltre due giorni da quello in cui è avvenuta la richiesta, in testa di pagina e collocate nella stessa pagina del giornale che ha riportato la nozione cui si riferiscono. Per i periodici, le dichiarazioni o le rettifiche sono pubblicate non oltre il secondo numero successivo alla settimana in cui è pervenuta la richiesta, nella stessa pagina che ha riportato la notizia cui si riferisce. Le rettifiche o dichiarazioni devono inoltre fare riferimento allo scritto che le ha determinate e devono essere pubblicate nella loro interezza, purché contenute entro il limite di trenta righe, con le medesime caratteristiche tipografiche per la parte che si riferisce direttamente alle affermazioni contestate. La rettifica è certo uno strumento molto efficace ma non sempre soddisfacente, mentre la denuncia penale, la tutela cautelare e il risarcimento patrimoniale dei danni morali, che hanno però ben altre tipologie procedurali sono di gran lunga più dirette ed agiscono in maniera immediata a scampo di equivoci. Per quanto riguarda la denuncia penale, la persona offesa da atti diffamatori può inoltrare alle autorità competenti una denuncia/querela, al fine di dare impulso a un processo penale a carico del colpevole. Nel corso del processo penale la persona offesa può anche costituirsi parte civile ai fini del risarcimento dei danni morali o patrimoniali subiti. Avendo con questo designato anche la tipologia di tutela dell’individuo tramite risarcimento, non rimane altro che definire la tutela cautelare civile. Quest’ultima, appartiene ai rimedi preventivi che intervengono prima che la lesione al diritto alla reputazione si sia verificata. Questa si identifica con l’azione inibitoria che serve ad ottenere una pronuncia giudiziale che ordini ad un soggetto di astenersi da un comportamento illecito e quindi interromperlo. E’ oltremodo interessante osservare come quest’ultimo sistema di tutela, a differenza degli altri, venga utilizzato solo quando incorrano determinate situazioni (questo perché la stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni e censure), che si rendono necessarie per il corretto rispetto/esercizio del principio costituzionale sopra citato.
Alla luce di quanto sviluppato, si hanno ora gli elementi sufficienti e convincenti per sostenere che la problematica dei rapporti tra informazione, intimità ed onore non deve essere affrontata nel contesto dei limiti al diritto di informazione e di libera manifestazione del pensiero, ma deve essere bensì oggetto di un attento bilanciamento tra diritti e valori costituzionali. L’esigenza di un bilanciamento si pone con frequenza nei moderni sistemi costituzionali dal momento che assai difficile che la tutela di una posizione soggettiva si realizzi utilizzando una sola disposizione costituzionale, ovvero facendo riferimento ad un unico diritto. Nasce quindi l’esigenza di utilizzare più criteri circostanziali e obbiettivi per la soluzione di determinate situazioni che si vengono a creare, ed è per questo che il compito del giudice viene svolto parallelamente all’osservanza e il rispetto di determinati criteri o parametri. L’analisi di questo difficile bilanciamento è di certo molto più comprensibile alla luce di qualche caso concreto, qui brevemente riportati.
CASI:
1) Nel 1991 il deputato Sergio Flamigni, nel suo libro “La tela del ragno - Il delitto Moro”, prospettò (ai tempi della strage di Via Fani), l’ipotesi di un collegamento tra il Ministero dell’Interno, all’epoca guidato da Francesco Cossiga, e la loggia P2. In seguito a ciò Francesco Cossiga, durante una conferenza stampa tenuta come Presidente della Repubblica attaccò Flamigni dicendo che quanto aveva detto non era per cattiva volontà ma per poca intelligenza. Queste frasi ampliamente riportate dalla stampa fecero si che Flamigni potesse chiedere al Tribunale Civile di Roma di condannare Cossiga al risarcimento dei danni per le offese rivoltegli. Cossiga si difese a sua volta invocando l’art.90 Cost. per il quale il Presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla costituzione. Il Tribunale di primo grado respinse la tesi di Cossiga, e lo condannò al risarcimento del danno per un equivalente di 40 milioni di vecchie lire, perché l’attacco personale di natura diffamatoria non poteva essere considerato come un atto rientrante nelle funzioni del Presidente. Cossiga ricorse quindi in appello dove però ottenne l’esatto contrario di quanto si era prodotto in primo grado. Il Tribunale d’Appello ritenne improponibile la domanda di Flamigni, affermando che al Presidente della Repubblica deve essere riconosciuto il potere di esternare valutazioni soprattutto quando queste servano a tutelare la Presidenza della Repubblica. Flamigni ricorse allora a sua volta in Cassazione che accolse entrambi i ricorsi , li esaminò e li rinviò ad un sezione della Corte d’Appello.
In definitiva il processo si concluse con l’obbligo , di Cossiga di risarcire il danno causato.
2) Il 10 gennaio del 1995 “IL Giornale” pubblicò un articolo intitolato “Cellino: cedesi società per pagare bollette Enel”, ritenuto lesivo della reputazione di Massimo Cellino, presidente del “Cagliari Calcio”, perché, riportando notizie non vere, apprese da fonte confidenziale e non sottoposte a verifica alcuna, affermava che il Cellino si trovava in difficoltà economiche tanto gravi da non riuscire tra l’altro, a far fronte neppure al pagamento delle bollette della luce relative allo stadio S.Elia. Gli autori dell’articolo vennero giudicati in primo grado e ritenuti colpevoli per diffamazione a mezzo stampa e omesso controllo in quanto non essendosi preoccupati della fonte di provenienza dell’articolo non esitarono a pubblicarlo senza quindi gli opportuni controlli del caso.
Il responsabile del giornale e l’autore dell’articolo ricorsero in Appello, ma la sentenza de Tribunale di Milano (24 gennaio 2002) fu la stessa, quindi non contenti provarono in Cassazione chiedendo l’annullamento, con o senza rinvio, della sentenza in secondo grado. La Corte, esaminato il caso rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del procedimento ed inoltre di quelle sostenute dalla parte civile, liquidata in 1.300,00 euro, di cui 1.000 euro per onorari.
CONSIDERAZIONI:
Questi casi seppur brevi, danno un’ampia panoramica di come materialmente questi processi si svolgano/procedano, ma la cosa di certo più interessante è osservare come le corti assumano comportamenti diversi (tuttavia deducibili) a seconda delle situazioni, e che ricorrano o meno determinati criteri. Nel 2° caso è deducibile il perché le corti abbiano emesso un tipo di sentenza piuttosto che un’altra, a rigor di logica, ma forse, con un rigore molto più giurisprudenziale che logico, è evidente che queste si pronunciarono seguendo i principi della sentenza decalogo e dell’art 57 del c.p. . Nel 1° caso, le difficoltà di deduzione sembrano invece accentuarsi. Non è più cosi facile cercare di capire le intenzioni della corte, quantomeno quella d’Appello, che sembra voler quasi difendere il Presidente della Repubblica affermando una sorta di forma di tutela della presidenza. Credo che questo accada perché il bilanciamento che a volte si concretizza e sembra prendere forma e a volte si scompone per lasciar spazio ad una più vasta idea, ossia quella morale. Certo è , che essendo questo un argomento molto delicato, trattandosi dell’offesa recata alla dignità umana, ed essendo quest’ultima un qualche cosa della quale non poter provare realmente il danno, diventa difficile, la dove non esistano parametri sufficienti, inventarsene qualcuno o lasciare impunito un simile reato pur pensando che sia stato rivolto alla dignità, senso che ci accomuna.
Per concludere, è proprio qui che si trova la difficoltà, nel senso morale proprio che ciascun giudice mette nell’esaminare ogni singolo caso, anche se poi alla fine si corre il rischio di non garantire un corretto bilanciamento dei principi giurisprudenziali conosciuti per la soluzione dei reati commessi per diffamazione a mezzo stampa e non solo. D’altro canto se si fosse troppo rigidi si correrebbe il rischio di trasformare un reato , quale quello preso in questione, forse troppo più grande di quanto in realtà sia. Cosi facendo almeno si evita che persone fin troppo esposte, quali i giornalisti , abbiano il continuo timore di dover scrivere i loro articoli da una cella piuttosto che dal loro studio.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI E SITI INTERNET
Diritto pubblico dell’informazione: stampa, radiotelevisione, teatro e cinema
(Paolo Caretti)
Diritto dell’informazione
(Giuseppe Corsaniti)
3° ed.
Diritto dell’informazione e della comunicazione
(Roberto Zaccaria)
CEDAM
WWW.FOROEUROPEO.IT
(Sentenze Cassazione)
www.legge-e-giustizia.it
( Casi )
www.Terrelibere.it
(Casi)
www.giust.it
(riferimenti)
Ultima modifica di kodak il 19/04/2007, 9:30, modificato 1 volta in totale.
Nella vita ci vuole culo, o ce l’hai o te lo fanno!!!
-------------------------------------

-------------------------------------

no, è un copia-incolla.... non ho scritto io.... :flower:Sally78 ha scritto:Scusa eh Kodak ma con questo malloppone che hai scritto mi fai pensare che qualcuno si sia impossessato di te per un'attimo!! :flower:
Nella vita ci vuole culo, o ce l’hai o te lo fanno!!!
-------------------------------------

-------------------------------------
